Governance locale e politiche di lotta alla corruzione

Oggi è la Giornata mondiale contro la corruzione. Di seguito trovate un altro estratto dalla mia tesi di laurea magistrale (“Oltre gli Obiettivi del Millennio”), di prossima pubblicazione, in cui si affronta la questione con l’approccio “micro” e scientifico del Poverty Action Lab:

Esther Duflo sottolinea come spesso il dibattito sulle istituzioni sia dominato da discorsi molto generali. La Democrazia (con la D maiuscola), la proprietà privata e la decentralizzazione appaiono come temi inesauribili, affrontati il più delle volte in maniera astratta o puramente descrittiva. In contrasto con il dominante approccio storico-comparativo sul ruolo delle istituzioni e il livello di sviluppo di Paesi o continenti, l’economista francese propone un’analisi del modo in cui le istituzioni si radicano sul terreno e di come la maggior parte delle persone vede le istituzioni stesse.

La piaga della corruzione di cui fanno le spese soprattutto i più poveri è un fenomeno più ampio e diffuso rispetto agli scandali ad alti livelli riportati periodicamente dai media. Il termine “corruzione” ricopre diverse realtà, e si può definire come la situazione in cui un funzionario (o un politico eletto) infrange una norma per ottenere un vantaggio personale. Può trattarsi di una “bustarella”, di nepotismo o di contratti e appalti ottenuti attraverso favoritismi. Contrariamente all’uso comune, andrebbe considerato un atto di corruzione anche l’assenteismo sistematico. Il furto e le malversazioni compiute nella sfera privata, invece, non rientrano nella corruzione.

Per comprendere meglio il fenomeno e, soprattutto, per acquisire strumenti efficaci per lottare contro di esso, è indispensabile in primo luogo quantificarlo. Tra le varie metodologie si annoverano le ispezioni a sorpresa. Applicata a scuole e centri sanitari, questa tecnica ha permesso di rilevare l’elevato tasso di assenteismo che li caratterizza. Una sua variante consiste nello spacciare il ricercatore per un utente che tenta di garantirsi un “buon trattamento”. Un altro metodo è costituito dall’osservazione partecipante, in cui gli utenti sono seguiti dal ricercatore. Una ricerca del genere sulle imprese di trasporto ha dato una chiara illustrazione di un principio generale: la corruzione non solo conduce a una riallocazione del reddito ma riduce anche il benessere collettivo, accelerando, ad esempio, il degrado delle strade. [1] Una terza tecnica consiste nel comparare due fonti differenti al fine di individuare i fondi che spariscono. Così, si possono confrontare i dati sulle importazioni e le esportazioni per valutare l’evasione delle tasse doganali. Per cogliere l’entità degli ammanchi nell’ambito della pubblica amministrazione si possono comparare i fondi stanziati per scuole e ospedali e gli importi che effettivamente giungono a questi settori, oppure le dichiarazioni ufficiali riguardanti la quantità di ore-lavoro e materiali utilizzati per la costruzione di una strada alle ore-lavoro effettivamente impiegati, in modo da rilevare le false fatturazioni.[2]

Nel tentare di comprendere il fenomeno della corruzione e le differenze con i reati di diritto comune appare decisivo non tanto l’atteggiamento di chi viola la regola, ma la regola che viene violata. In generale, lo Stato interviene a fronte dei fallimenti del mercato, ossia quando beni e servizi non sono spontaneamente ripartiti nel modo che la società auspica. Si tratta di circostanze in cui, per spinte sociali o esigenze di redistribuzione, gli interessi privati non coincidono con l’interesse collettivo. Violando la legge, il funzionario corrotto spesso modifica il modo in cui sono allocati i beni reintroducendo una logica di mercato che lo Stato si era impegnato a escludere. Di conseguenza, egli non si limita a prendersi indebitamente una parte della “torta” sociale, ma ne riduce le dimensioni.

La corruzione nasce dallo scarto che separa un obiettivo sociale e la capacità individuale di pagare, come ha dimostrato Abhijit Banerjiee analizzando le decisioni di un governo desideroso di allocare i posti ospedalieri a chi ne ha realmente bisogno e quelle di un funzionario che mira a massimizzare le proprie entrate[3]. Il funzionario approfitta dello scarto introducendo la possibilità per l’utente di sostituire la dimostrazione della propria competenza (o del proprio bisogno) con un pagamento. Ciò, ovviamente, avviene a danno della società che si trova ad avere strade rovinate percorse da guidatori incapaci, malati senza un posto letto all’ospedale ecc.

Se i governi abbandonassero ogni speranza di migliorare l’allocazione delle risorse scarse (ossia di fare in modo, per esempio, che i posti letto siano appannaggio non dei ricchi ma dei malati), senza dubbio la corruzione diminuirebbe, ma il benessere generale scenderebbe in maniera significativa. La corruzione è inseparabile dall’esigenza di intervenire per correggere gli squilibri del mercato e ne costituisce, in qualche modo, il versante oscuro. Ci si deve quindi attrezzare per combatterla con risolutezza, almeno fino a che tutti si rifiuteranno sistematicamente di cedere alla pressione del proprio interesse personale.

Una realtà complessa e non trascurabile attraverso cui la corruzione si manifesta è il voto di scambio. È stato analizzato come tale pratica anti-democratica si sviluppi laddove le logiche di mercato si sovrappongono all’interesse comune in uno dei pilastri delle democrazie rappresentative, cioè la tornata elettorale. Le modalità in cui ciò avviene sono riscontrabili in differenti livelli: la compravendita di voti è più conveniente quando coincide con gli interessi degli elettori. Si introducono vere e proprie forme di contratto, tanto più effettive quanto più i legislatori sono responsabili dinanzi alla propria circoscrizione di provenienza o quando i votanti si aspettano dalle elezioni generali determinati esiti in termini di politiche.

D’altra parte il voto di scambio o la compravendita di voti diventano difficili, se non impossibili, laddove ciò che è contraibile non coincide con gli obiettivi dell’elettorato.  Allargare la sfera delle contingenze contrattabili che possono influenzare il voto individuale non fa altro che abbassare il prezzo che i gruppi d’interesse pagano, aumentando il loro potere.  L’introduzione del voto segreto ha effetto contro tale pratiche finché l’elettorale considera più importante il proprio voto rispetto a determinati esiti in termini di politiche. In conclusione, nessuna misura presa singolarmente risulta decisiva per contrastare la pratica del voto di scambio.[4]

La persistenza della corruzione nelle democrazie è un fatto accertato storicamente. Almeno in principio, l’accountability e il controllo pubblico dovrebbero fungere da deterrenti, ma ciò non ha garantito molti Paesi (sviluppati e non) dalla diffusione sistemica e a lungo termine del fenomeno della corruzione. Esempi ben noti sono l’Italia, il Giappone, l’India e gli Stati Uniti nel periodo tra la Guerra Civile e la Grande Depressione.

L’importanza del problema non può essere quindi sottostimata: la corruzione è socialmente dispendiosa e dannosa per la crescita, devia risorse verso la ricerca di rendite improduttive, distorce gli incentivi, aumenta la disuguaglianza e la povertà e previene la corretta gestione della spesa pubblica. Nel tentare di spiegare la persistenza di tale fenomeno nei regimi democratici si fa riferimento spesso a qualche fallimento dal lato dei votanti (apatia, informazione scarsa e asimmetrica) o nel meccanismo elettorale.

La corruzione può trovare terreno fertile quindi anche in Stati caratterizzati da democrazie ben funzionanti in cui cittadini ben informati compiono scelte razionali. Per quanto riguarda questi sistemi, si è verificato come le aspettative di lungo termine possano influenzare l’orientamento di breve termine. Ad esempio, un probabile aumento delle tasse o della spesa pubblica può favorire comportamenti corrotti, che – come già ricordato – altro non sono che forme di redistribuzione dalla sfera pubblica a quella privata. Difatti il fenomeno può sorgere anche in una democrazia ben funzionante – laddove non vi sono “falle di sistema” – ma inevitabilmente (anche se sussiste solo come minaccia) esso finisce per influenzare l’allocazione delle risorse, alterando l’equilibrio di una democrazia rappresentativa.[5]

Ci sono essenzialmente tre modi per combattere la corruzione: il controllo “dall’alto” (tramite audit e controlli amministrativi), il controllo dal basso (tramite la supervisione degli utenti) e la combinazione fra le due modalità (controllo amministrativo e responsabilità elettorale). Il metodo degli audit prevede che, ad esempio, i responsabili istituzionali annuncino a un numero di villaggi scelti a caso che i loro conti verranno verificati durante l’anno in almeno un’occasione. Altri progetti prevedono il coinvolgimento della popolazione locale, con la fornitura ai cittadini, ad esempio, dei risultati degli audit prima delle elezioni o delle decisioni riguardo all’assegnazione di appalti o delle cariche.

Un altro tipo di politiche anti-corruzione sono quelle che prevedono incentivi per i funzionari pubblici – in particolare quelli del Fisco – e il miglioramento delle loro condizioni di servizio. Anche tale rimedio, però, funziona solo se si elimina la corruzione ai livelli più alti del management pubblico. L’effetto “contagio” della percezione che le alte cariche vengono utilizzate per perseguire interessi personali piuttosto che quelli del mandato pubblico è infatti catastrofico. Lo stesso vale per la percezione che la progressione di carriera avvenga non in base a criteri oggettivi ma grazie a compromessi con i livelli più alti.[6]

In termini generali, la decentralizzazione dei poteri, in particolare sui beni pubblici locali, è vista in diversi Paesi in via di sviluppo e dalle istituzioni internazionali come un mezzo per ridurre la corruzione e la discrezionalità delle amministrazioni, nonché come uno strumento necessario per migliorare i processi decisionali della politica. Ma, così come il controllo comunitario non consente di far sparire dall’oggi al domani la corruzione, allo stesso modo la delega a livello locale delle decisioni non è esente da criticità.

Esistono diversi argomenti a priori a favore del decentramento amministrativo. In primo luogo, esso consente ai cittadini di esercitare un controllo diretto sugli uomini politici. Il politico eletto rimpiazza il funzionario. In linea di principio, il fatto che egli riceva il mandato popolare e sia sottomesso alla sanzione delle urne dovrebbe erodere gli spazi della corruzione. La comunità locale, inoltre, dovrebbe sapere meglio del potere centrale ciò di cui abbisogna.

Il controllo locale, tuttavia, comporta anche dei rischi. I consigli possono divenire monopolio delle élite locali vedendosi sottrarre di nuovo il potere. Ma anche se ciò non avviene, gli organismi di rappresentanza locale possono trasformarsi nello strumento di esercizio di una tirannia della maggioranza su gruppi meno numerosi e forti (come le donne). Le minoranze, infatti, quando dispongono di un élite formata e strutturata, possono riuscire a organizzarsi a livello nazionale per garantire che i loro diritti siano rispettati. A livello di villaggio, però, gli appartenenti a gruppi minoritari sono in genere meno numerosi, più deboli e meno istruiti. Un completo decentramento potrebbe quindi condurre a un notevole deterioramento della loro posizione.

Nei PVS le riunioni pubbliche sono la struttura di base della governance amministrativa decentrata. È in esse che le questioni di bilancio sono discusse e votate, i problemi più diversi sono affrontati e i cittadini possono esprimere le loro preferenze. In realtà, solitamente, sono in pochi ad assistere a tali riunioni, e fra loro i poveri e i soggetti più vulnerabili appaiono decisamente sottorappresentati e con minore possibilità di essere ascoltati. Per rendere la governance locale una realtà è necessario, in primo luogo, incrementare la partecipazione dei gruppi più poveri e svantaggiati. Per fare ciò, è indispensabile individuare le modalità che influenzano la loro presenza e la loro partecipazione attiva. Un primo parametro riguarda il modo in cui è condotta la riunione e il sistema di quote riservate alle donne. Diffuso è anche l’utilizzo di inviti formali alla partecipazione, a volte con allegati moduli ove fornire commenti anonimi. A tal proposito, è fondamentale fare attenzione ai dettagli e non solo alla teoria. Tali strumenti si sono infatti dimostrati efficaci in chiave anticorruzione, ma a una condizione, ossia che i moduli fossero distribuiti in maniera sistematica attraverso scuola e senza fare ricorso alle élite locali. Infatti, quando sono distribuiti dai leader del villaggio o del quartiere, inevitabilmente i formulari finiscono solo nelle mani degli amici e alleati di questi, rendendo il meccanismo inefficace.

Il dibattito internazionale sulla governance è spesso dominato da grandi concetti come democrazia, trasparenza e decentramento. Ma la democrazia non è necessaria né sufficiente per una buona governance a livello locale. L’esempio dell’India lo mostra in maniera evidente: la più grande democrazia del mondo è anche uno dei Paesi che, a parità di reddito, ha più difficoltà ad assicurare ai poveri i servizi essenziali che promette loro.

Esiste un vero e proprio paradosso della democrazia: dal momento che i poveri godono di rappresentanza politica, essa tende più di altri regimi a darsi obiettivi di eguaglianza e giustizia che possono entrare in conflitto con i meccanismi di mercato. Ma, come abbiamo visto, è proprio su quel terreno che la corruzione trova le condizioni ideali per svilupparsi. Una simile tensione, quindi, è inevitabile e non possiamo limitarci ad auspicare che la corruzione scompaia o attendere che la democrazia la sconfigga.

Si può concludere che non solo il buon governo è indispensabile per la lotta alla povertà, ma quest’ultima è ugualmente fondamentale per il buon governo. La dimostrazione di una realizzazione concreta influenza il voto. Di conseguenza, la costante sperimentazione volta a individuare interventi semplici ed efficaci, in grado di fornire risposte concrete che abbiano un reale impatto sulla vita della popolazione, è la via maestra per ottenere una società giusta e una vita civile più ricca.[7]


[1] Cfr. Barron, Olken (2009) “The Simple Economics of Extortion. Evidence from Trucking in Aceh”, Journal of Political Economy, 117.

[2] Cfr. Fishman, Shang (2004) “Tax Rates and Tax Evasion. Evidence from “Missing Imports” in China”, in Journal of Political Economy, 112, pp. 471-500; Reinikka, Svensson (2004) “Local Capture. Evidence from a Central Government Transfer in Uganda”, Quarterly Journal of Economics, 119, pp. 678-704.

[3] Cfr. Banerjee (1997) “A Theory of Misgovernance”, Quarterly Journal of Economics, 112, pp. 1289-1322.

[4] Cfr. Morgan, Vàrdy (2006) “Corruption, Competition and Contracts: A Model of Vote Buying”, IMF Working Paper, WP/06/11, pp. 3 ss.

[5] Cfr. Pani (2009) “Hold Your Nose and Vote: Why Do Some Democracies Tolerate Corruption?”, IMF Working Paper, WP/09/83, pp. 3 ss.

[6] Cfr. Chand, Moene (1997) “Controlling Fiscal Corruption”, IMF Working Paper, WP/97/100, p. 3.

[7] Cfr. Duflo (2009) “I numeri per agire. Una nuova strategia per sconfiggere la povertà”, Feltrinelli, pp. 127 ss.

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