Dopo l’arrivo a Phnom Penh, è ora di girare.
La prima mattina in Cambogia inizia con una bella colazione asiatica e la paura di mangiare verdure non cotte e beccarsi qualche malattia intestinale.

Abbiamo un autista, discreto, esperto e rigorosamente locale, perché qui è come in Africa e sono pochissimi i folli occidentali che pensano di guidare da soli. Il traffico è una bolgia folle e sregolata come avevamo visto forse solo a Cotonou, classica capitale africana dove dalla sabbia è stato eretto cemento, e dove lo smog di migliaia di motorini e auto sgangherate ti entra su per le narici assieme al tanfo delle latrine piene di immondizia ai lati delle strade.

Da Shiva a Buddha
Alle 17.00 la loro giornata di lavoro dei cambogiani è già finita. Ma come biasimarli? Iniziano alle 6.30 la mattina, per evitare il sole pressante che ti toglie tutte le energie.

La nostra prima guida è una ragazza della provincia, qualche anno più di noi ma portato bene. Sembra una bambina, piccola ed esile. Inglese molto basico, ma riusciamo a capirci:
“Sono cresciuta nella campagna, senza acqua corrente né elettricità, ma ora qui va molto meglio. Quando mi sono sposata ho dovuto spostarmi in città, e ora faccio due lavori: le cose di casa per mio marito e per i suoceri, e la guida per i turisti che arrivano soprattutto tra gennaio e aprile.” Le facciamo altre domande per approfondire la conoscenza e tramite lei capire di più di questo paese, ma sembra più interessata a rifilarci la pappardella sulle vicende della famiglia reale e le altre schede prodotto dei luoghi che ha imparato a memoria.



Nei templi e nei musei basta guardare la le usanze della gente per comprendere quanto ancora la religione abbia presa su questo popoli. I tre anni e mezzo di comunismo non hanno sradicato un bel niente. Anzi, hanno rinforzato lo spirito mistico del cambogiano medio. D’altronde si tratta di un popolo che fino all’arrivo degli hindu era animista, con un profondo rispetto per la natura e nessun vero dio da adorare. Poi è stato appunto il turno di Shiva, Vishnu e altri simpaticoni indiani, per poi lasciare spazio durante l’impero di Angkor – circa 800 anni fa – ai Buddha saggi, felici e panzuti.


La furia cieca degli anni ’70 ha cercato come in tutti i paesi comunisti di emancipare il popolo dal suo oppio. E i risultati sono stati tragici, ancora più imbarazzanti che in Albania o in Russia, perché l’ovvia conseguenza dello sterminio fatto per creare l'”uomo nuovo socialista” non ha fatto altro che associare la parola laicismo alla mancanza totale di rispetto per la vita umana.

Così le preghiere, gli incensi, gli inchini e le statue piene di fiori e denari sono spuntate di nuovo come funghi, e ora trovi questi tempietti eleganti a forma di cavolo romano ovunque, anche nei cortili delle capanne più misere nella campagna sperduta.

Eppure guardo questi Buddhini e Buddhoni sorridenti e mi sento già di buon umore. Altro che le madonne e i santi di casa nostra, che hanno sempre uno sguardo corrugato e pronto a incutere timore.

Gli effetti di un pauroso esperimento
Il genocidio perpetrato da Pol Pot ha più che dimezzato la popolazione.
Prima del 1975 gli khmer (nome originale del popolo cambogiano) erano circa 4 milioni. Poi i 20 anni di guerra successivi hanno fatto il resto, decimando quasi ogni superstite. Eppure dal 2000 la popolazione ha iniziato a crescere velocemente come in tanti altri paesi in via di sviluppo, e ora si contano 16 milioni di persone.
Ne avevo letto a fondo e avevo visto documentari, ma l’impressione dal vivo è forte: in 8 giorni di viaggio non abbiamo adocchiato quasi alcuna persona sopra i 50-60 anni. Sono tutti giovani, tutti nati dopo la liberazione avvenuta nel ’79.
A proposito, mi piace girare il coltello nella piaga e chiedo a questa ragazza come mai ce l’ha tanto coi vietnamiti – che costituiscono una presenza importante, in alcune zone anche maggioritaria. Lei mi risponde “Quelli del Vietnam hanno occupato il nostro paese e cercano di sottometterci da sempre. In questi anni hanno distrutto le nostre foreste e imposto il loro regime comunista anche qui, occupando tutte le cariche importanti. E i cinesi hanno tutti i soldi, controllano l’economia.”
“Ok” dico io “eppure, dimmi se sbaglio, è solo grazie ai vietnamiti se non siete ancora sotto a Pol Pot e al suo regime sanguinario. All’epoca fu la sua stupida febbre espansionistica a disturbare i vietnamiti e convincerli ad invadere il paese. I cinesi erano gli unici a sapere cosa stava succedendo e proteggevano il regime per mantenere una forte influenza nella zona. Se non fosse stato per l’esercito vietnamita (alleato dei russi durante la fase di guerra strisciante tra i due colossi comunisti) i massacratori sarebbero andati avanti indisturbati e ora vi ritrovereste peggio della Corea del Nord.”
Lei annuisce “Sì, Pol Pot ha distrutto tutto, eliminando fisicamente la classe media, svuotando le città che erano fiorite dopo il periodo francese. Ha riportato il paese a uno stadio di schiavitù, senza moneta, né industria né mezzi di coltivazione”. E poi la guardo meglio. La sua pelle è molto chiara rispetto a quella dell’autista. “Sì, mia madre era mezza cinese e mezza vietnamita. Durante quegli anni si doveva nascondere spesso, perché Pol Pot non si fidava di nessun straniero e voleva eliminare non solo tutti i borghesi con gli occhiali, ma anche tutti quelli con una pelle e occhi leggermente diversi. Quando venivano i controlli nelle campagne, si gettava anche per ore nel fiume vicino casa, respirando solo con un cannuccia per nascondersi sott’acqua”.
Il genocidio ha lasciato traccia quindi, e suscita senza dubbio curiosità.
Io penso a che lezione trarre da questa storia, e mi sembra palese ancora una volta che l’applicazione delle idee socialiste e comuniste provoca solo disastri. E’ l’iniziativa individuale e il capitale a creare sviluppo e opportunità, ovunque. E non è facile. Ci vogliono decenni per creare un tessuto industriale, tecnologie avanzate, persone specializzate (medici, ingegneri e altre figure chiave), e tanti altri requisiti per innalzare il benessere di un paese. Ma a distruggere tutto ciò ci vuole molto poco. Pol Pot c’è riuscito in meno di 4 anni, applicando alla lettera e in maniera ancora più spietata tutte le dottrine imparate a Parigi dai marxisti europei, e poi in Cina da Mao Tze Tung.


















Sono ancora tra di noi
Quello che colpisce del genocidio perpetrato dai khmer rossi (nome dato dal re Sihanouk ai ribelli comunisti, in contrasto ai suoi oppositori di destra, i khmer bianchi) è che è un fatto molto recente. Rispetto a quello che studiamo ad esempio noi degli ebrei in Europa, qui i segni sono ancora vividi. E’ come visitare Birkenau nel 1959, quando i sopravvissuti alla Shoa stavano ancora cercando di riprendersi e tanti nazisti se ne stavano tranquilli in Germania o in Argentina.
Infatti la maggior parte dei khmer rossi sono rimasti impuniti. Pol Pot stesso si è nascosto per bene nelle montagne continuando ad ammazzare gente e ad attaccare i turisti fino al 1998, quando – a quanto pare – è morto di semplice vecchiaia. E i processi agli altri dirigenti – con una versione blanda del tribunale per i crimini contro l’umanità istituito negli anni 90 nei Balcani – sono partiti solo nel 2004 e continuano ad arrancare.
“Il governo non ha interesse a pagare per questi processi, vuole lasciare tutto così com’è e far morire quegli aguzzini in pace nel loro letto.” E qui abbassa il tono, quasi sussurrando per paura di essere sentita “D’altronde il primo ministro stesso ora è un khmer rosso”.
“Cosa cosa?” dico io scioccato. “Sì, c’è tanta corruzione qui, e ora non c’è più neanche parvenza di democrazia. Il nuovo governo ha eliminato l’unico partito di opposizione e ha vinto con la quasi totalità dei voti a favore truccando alla grande. E il capo ora dice che Pol Pot non aveva colpe, che voleva fare il bene della Cambogia e renderla forte e indipendente dagli stranieri, dall’imperialismo, e ha solo sbagliato mezzi. Ma le sue intenzioni erano buone.” Non ci credo quasi, ma mi sto abituando velocemente all’aria surreale “Lo dice così, apertamente?”. Lei fa cenno di sì con la testa.
Andiamo quindi a vedere da vicino alcuni dei luoghi simbolo dello sterminio: i famigerati killing fields poco fuori la capitale, e poi l’agghiacciante campo di concentramento S-21 in pieno centro.




In giro per il paese ce ne sono altre centinaia di questi posti assurdi, con ossa di cadaveri ovunque. Spesso anche quando si entra nei templi nuovi si trovano ossari e teschi, usciti fuori mentre si facevano i lavori di costruzione. Certo, noi siamo venuti qui per vedere l’attrazione principale, Angkor, ma questi luoghi macabri esercitano un fascino quasi superiore.
Il genocidio è anche una buona fonte di turismo e di entrate ora, quasi troppo. E all’uscita del principale campo di tortura (dove hanno perso la vita decine di migliaia di detenuti) fa strano vedere 2 dei soli 6 sopravvissuti che competono per l’attenzione dei visitatori. Sono lì sotto l’ombra degli alberi e propongono libri, cd e dvd con la loro versione della storia. Inevitabile immaginare che effetto farebbe vedere sopravvissuti con le loro bancarelle all’uscita di Auschwitz.
Giochiamo a Tomb Raider
Ogni giornata qui è come un orgasmo per gli occhi.

Milioni di turisti tutti gli anni visitano i templi di Angkor – un complesso straordinario di mastodontiche strutture in pietra, erette tra il 900 e il 1200 d.C. in mezzo alla giungla. Si tratta di tombe e templi sia induisti che buddisti dell’epoca imperiale, quando la Cambogia dominava su gran parte del sud-est asiatico. All’epoca i suoi re avevano preso una febbre simile a quella dei faraoni egizi o dei consoli romani e passavano la vita a farsi costruire enormi mausolei e altre torri in onore di papà, mamma, nonni e antenati.

Le zone dove è stato girato Tomb Raider, il film del 1998 con Angelina Jolie, sono il pezzo forte. La bellezza di queste mura stritolate dagli alberi, che hanno preso il sopravvento dopo la fine dell’impero, è unica al mondo, e paragonabile come esperienza solo alla visita dei Fori Romani o delle rovine Maya e Inca dall’altra parte del mondo. Alla pari di quei luoghi più famosi, anche questi sono luoghi difficili da visitare, a causa dell’assurdo numero di turisti, soprattutto cinesi. Io e Paola siamo in vacanza ma dobbiamo svegliarci alle 6 per riuscire ad apprezzare questi luoghi in pace, prima dell’arrivo delle orde di visitatori caciaroni.


I templi sono in gran parte nella zona nord del paese, lontano dalla capitale e più vicini a Siem Reap – località più sviluppata ed elegante rispetto alle campagne e alle altre città. E’ piena di stranieri e mercatini, un po’ come le città thailandesi. Qui il nostro sport preferito è andare in giro la sera a negoziare e prendere maglie di marca prodotte in loco a un decimo del prezzo che pagheremmo su Amazon o in qualsiasi negozio occidentale.
Chiedimi come la penso
In questi giorni Ciansip, la nostra nuova guida, ci ha mostrato diverse maschere.
Anche lui ama recitare la pappardella storica e religiosa, che a noi interessa poco – cioè, non ci interessano proprio tutte le vicende di ogni divinità e ogni guerra fatta dai re vissuti mille anni fa – ma d’altronde la valutazione del suo servizio, che ci verrà richiesta alla fine, si basa anche sulla conoscenza delle date e dei luoghi parte del nostro programma. Ci intrigano le persone, e quindi lo tempestiamo di domande.

Lui ha piacere a toccare alcuni argomenti: “Faccio la guida da 12 anni, ma prima ero un monaco. Nei miei 10 anni chiuso nei templi ho studiato l’inglese e ho imparato per bene gli insegnamenti del Buddha teravada, che è molto meglio di quello seguito dal Dalai lama. Se avete domande sul buddhismo non esitate a farmele”.
Ciansip è spigliato e di ampie vedute rispetto alla nostra prima guida, oltre che estremamente gentile e pro-attivo nell’aiutarci a fare foto, restare idratati e non dimenticarci nulla per strada. Sembra una persona cosmopolita, anche se gli unici paesi che ha visitato sono quelli appena limitrofi. Ha una visione positiva dell’economia di mercato e dei miglioramenti che il suo paese deve fare, e sa pure recitarmi nel dettaglio il reddito medio pro capite di tutti i paesi del Sud-est asiatico.
Come per la guida precedente, basta poco per stimolarlo a parlare male della politica cambogiana, a volte più apertamente, a volte con sottile sarcasmo, come quando prendiamo una strada provinciale abbastanza disastrata per andare a vedere uno dei templi meno battuti “Preparatevi, perché oggi avrete un bel massaggio gratuito offerto dal governo cambogiano”. E che massaggio! Il viaggio è lungo e abbiamo già scalato diverse colline, ma non riusciamo a riposare per niente, sbattuti su e giù dai continui dossi della strada sterrata e stretta, fino a che non ci sentiamo più le chiappe. “Sono una massa di corrotti, ci porteranno alla rovina. Si mangiano tutta la poca ricchezza che produciamo, e svendono per due spicci le nostre terre ai cinesi e ai vietnamiti. Non c’è democrazia, e ora per l’idiozia di questo primo ministro rischiamo pure di perdere i crediti fiscali che ci hanno consentito negli ultimi anni di esportare a prezzi stracciati t-shirt, scarpe e zaini in tutto il mondo”.

La curiosità mi divora e quando ci sediamo per fare pausa pranzo insisto: “Cosa faceva la tua famiglia sotto i khmer rossi?” e lui con una certa noncuranza mi risponde “I miei erano contadini, non ci sono più ora”. E’ reticente, ma io insisto e specifico: “Ci hai raccontato di come tutti gli ingegneri, i medici, i commercianti, i professori universitari, gli artisti e gli stranieri che erano nelle città furono sterminati appena iniziata la rivoluzione. Ma ai contadini delle regioni remote cosa è successo? E’ vero che Pol Pot li ha schiavizzati oppure li ha favoriti come diceva a parole?”. Lui allora si è aperto un po’ “Li hanno costretti a fare quello che facevano prima, produrre riso. Solo che non potevano darlo, dovevano consegnarlo tutto ai khmer rossi”. Qui prende a ridere “E loro prendevano tutto il riso e lo portavano al confine per scambiarlo con le armi dei cinesi”.
Un racconto coerente con quanto letto altrove su quel periodo. I dirigenti della Cina maoista e post-maoista d’altronde erano gli unici a sapere quello che stava succedendo in Cambogia, e sono probabilmente sempre loro ad aver protetto Pol Pot per altri vent’anni a seguire.
Meno coerente è lo sfogo di Ciansip, anche se ne apprezzo la franchezza: “Sai, quando alla gente togli tutto, è ovvio che prenda il fucile”. Prima del regime comunista c’era una corruzione spaventosa, questo lo so, e annuisco. “Tanti hanno deciso di combattere per spodestare Lon Nol, perché si faceva la fame e le ingiustizie avevano superato il limite di sopportazione della gente, che qui tra l’altro. Nelle città c’era istruzione, ma non c’era lavoro. Perciò la rabbia si è rivolta contro queste persone prima”.
Conosco bene le dinamiche interne e internazionali che hanno portato al potere Pol Pot, ma lui va avanti con un crescendo che attira l’attenzione delle altre persone che sono lì intorno a mangiare: “Hanno tolto tutto ai poveri, e quindi quelli hanno deciso di andare sulle montagne e prendere i fucili. E ora è così di nuovo. I ricchi sono sempre più ricchi, mentre i poveri… loro sembra che in Cambogia non ce la possano fare mai, restano sempre poveri. Immagina, questi arrivano e ti tolgono la terra, ci mettono un recinto attorno e dicono che è loro, e tu non puoi farci nulla, perché i giudici gli danno ragione. Commettono dei crimini, e non vengono puniti.
Corruzione, il popolo cambogiano vive nella corruzione”.

Se io vinco, tu muori
Il suo tono di voce continua ad alzarsi, e io cerco di tranquillizzarlo: “Guarda che non è che esista solo qui questo fenomeno. In Italia abbiamo la mafia e le regole sono ben diverse tra nord e sud, ecc.”.
Lui la mette sul personale, e inveisce ancora di più contro il governo, incurante delle spie che possono esserci attorno: “Ho fatto un mutuo da migliaia di dollari, che devo ripagare con la mia paga da guida freelance. Ci vorranno altri 7 anni. L’ho fatto per dare una casa alla mia famiglia, ho 2 figlie e una moglie da mantenere.”
E poi riprende proprio l’argomento che il giorno prima aveva tirato fuori per cantare le lodi del liberismo e del commercio internazionale, e lo gira al contrario: “Sono sicuro che tutte le schifezze fatte da questo governo ora ci porteranno alla rovina. Le violazioni dei diritti umani e l’abolizione della democrazia hanno fatto arrabbiare USA ed Europa, i nostri principali mercati per l’export. E questi ora toglieranno la clausola E.B.A. (everything but arms) che ci dà crediti fiscali su tutti i prodotti che vendiamo tranne le armi. E’ un disastro, perché sono 700 milioni di $ che ora risparmiamo e che se le nostre industrie devono pagare le porteranno presto al fallimento. I costi salgono e già tante hanno chiuso per andare a produrre in Bangladesh, licenziando migliaia di operai. Sarà sempre peggio, ci saranno milioni di disoccupati. La gente che ha fatto investimenti immobiliari fallirà, perché gli inquilini non potranno più pagare l’affitto. le banche avranno sofferenze. I turisti non verranno più in Cambogia.”
Quest’ultimo passaggio è un po’ torbido, ma lui va avanti come un treno: “Io perderò il lavoro, e sai cosa succederà? Sarò costretto a vendere la mia casa per ripagare i debiti. E a quel punto sarò pure senza casa, la mia famiglia cosa farà? Cosa dovrò fare, ammazzarmi? No, anch’ìo prenderò il fucile e andrò sulle montagne, perché non avrò più nulla da perdere. Come facevano i contadini incazzati che aiutarono Pol Pot.” Lo guardo con empatia, ma anche shock. Il discorso si fa deprimente, come molte delle zone degradate che abbiamo attraversato in quei giorni: “Se ti senti braccato, allora tanto vale vendicarti. Provare a combattere. Se io vinco, tu muori. Se tu vinci, io muoio. Ma almeno ce la siamo giocata.”

Paola è spaventata, e non capisce: “Chi è il nemico?”. Qui c’è stata una deriva dittatoriale, proprio negli ultimi 2-3 anni. Anche il settore turistico continua a fiorire, non basta, e le cifre di crescita sono falsificate dal governo, perché tutto attorno si vedono i segni della stagnazione. Strade inesistenti, fogne a cielo aperto, poche scuole e quasi nessuna università, pochi posti buoni di lavoro e poche opportunità imprenditoriali. La logica di Ciansip è schematica e viziata, ma la sua rabbia è comprensibile.
Come non ci si può stupire che gli iracheni cresciuti sotto le bombe si uniscano all’ISIS, così non ci si può stupire del perché tanti contadini che nulla sapevano di marxismo-leninismo e maoismo, si unirono a Pol Pot e gli permisero di arrivare al potere e compiere uno dei più agghiaccianti massacri della storia umana, in nome di un ideale laico e di una società senza ricchi né poveri.

Possiamo capire come ci si sente messi con le spalle al muro, nella miseria e nella disperazione, mentre chi ha vecchi privilegi cade sempre in piedi? Forse no. Eppure non possiamo perdere la razionalità, perché quello che manca qui in Cambogia è ciò che ha consentito la nostra emancipazione dall’oscurantismo e dalla povertà in Occidente: istituzioni sviluppate e non egemonizzate da singoli individui, indipendenza della magistratura, stato di diritto, certezza della proprietà privata. Senza di ciò, non può esserci progresso.
Penso a quello che diceva Buddha stesso, “Trattenere la rabbia è come trattenere un carbone ardente con l’intento di gettarlo a qualcun altro; sei tu quello che si scotta.”
Certo, la rabbia ti prende e ti dà energia, ma se non sai come incanalarla nella giusta direzione finisce inevitabilmente per distruggerti.
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