Prima parte dei pensieri sui miei primi viaggi in Africa negli ultimi anni
Nella sua magnifica confessione prima di morire (“La fine è il mio inizio“), Tiziano Terzani disse al figlio Folco una cosa che all’epoca in cui lessi il libro mi colpì tanto, e a cui ripenso ogni tanto:
Ai giovani che mi chiedono “Ma io, che faccio?” rispondo “Guarda! Il mondo è pieno di cose da esplorare”.
Il mondo che mi sono trovato davanti io in Vietnam, in Cambogia, in Cina non c’è più. Ma c’è un altro mondo lì, aperto per chi lo vuole scoprire. Chiedi al tuo amico antropologo che va nelle isole del Papua New Guinea, Folco, e te ne racconta mille. O tu pensa all’Africa, ma chi la conosce?
E poi penso ai tanti amici e conoscenti medici con cui ho parlato negli ultimi anni in Liguria. La frase che segue sembra fatta apposta per loro:
C’era un giovane medico l’altra settimana che cercava di farmi dei buchi nello stomaco. Diceva che aveva fatto il concorso per un posto di assistente in un ospedale alle Cinque Terre e che se gli andava bene forse il professore lo prendeva. Mi è venuta una tristezza a vederlo! Un giovane così, ma perché non piglia la sua valigetta e va a riparare le gambe rotte per due o tre anni in Congo? E impara, impara! Non solo impara una tecnica, ma la vita lì diventa un’altra cosa.
Folco gli chiede allora:
Bisogna sempre andare così lontani? Esistono anche le esperienze dietro l’angolo, no? Dipende un po’ dall’atteggiamento che uno ha.
E lui di tutta risposta:
Va be’, ma questo atteggiamento cambia proprio dinanzi alle situazioni. Se vai a lavorare in un ospedale nel Congo, lo sai con quante esperienze potresti tornare? Ci vuol coraggio, ci vuole determinazione, ci vuole fantasia, ma le possibilità ci sono. Non è che tutte le porte sono chiuse, che il mondo è già tutto sprangato e i posti sono già presi dagli altri. Ma per nulla!
Ecco, è da questi pensieri che parte la mia AltrAfrica, la storia del mio rapporto con questo continente, e soprattutto dei viaggi e delle esperienze con un posto lontano e inculato verso l’Equatore.
La prima volta in Africa
La prima volta che sono stato in Africa è stato nel maggio 2015, in Etiopia, per un viaggio in jeep nel nord del paese.
La mia compagna era al termine di un importante progetto di lavoro a Mekelle, capitale dello stato del Tigray, e abbiamo colto l’occasione per vedere le bellezze straordinarie di questo paese un po’ unico (l’unico nel continente ad essere sempre rimasto indipendente, tranne i pochi anni di dominio italo-fascista).
Ma questa è un’altra storia, che merita di essere raccontata a parte.
AltraAfrica, viaggio fuori dal Comune
Meno di un anno dopo, intanto, sono tornato nel grande continente, grazie a un gruppo di amici genovesi…
…in particolare, si trattava di un gruppo di educatori, che a Genova Nervi gestiscono un asilo e una casa famiglia.
Ci siamo conosciuti a una cena con altri ragazzi, e subito il discorso “Africa” è venuto al centro, generando fiumi di parole, racconti, scambi che poi ci hanno convinto a provare questo viaggio.
Il progetto AltrAfrica della cooperativa Minerva infatti è uno dei pochi in Italia che permette a chiunque sia interessato a visitare il luogo “dove succedono le cose” direttamente, da volontari.
Quest’esperienza è preziosissima, ma non serve spendere cifre allucinanti. Basta pagarsi il viaggio.
L’idea originale è venuta da un’esigenza tutta legata all’assistenza in Italia, e il modo migliore per raccontarlo (in attesa che esca il libro che sto scrivendo) è mostrare questo breve e stupendo documentario:
Cosa siamo andati a fare?
I protagonisti che hanno creato queste “cose bellissime” nella zona di Sokpontà in Benin sono 2:
- La cooperativa Minerva di Genova
- L’associazione L’Abbraccio di Fubine (AL)
E’ al loro coraggio e alla loro perseveranza che dobbiamo la presenza di:
- un ospedale pediatrico,
- un orfanotrofio,
- una scuola elementare e media,
- un’azienda agricola
- un’attività continua di contrasto dell’abbandono scolastico (per far studiare centinaia di bambini e ragazzi invece di esser costretti a tenerli nei campi a lavorare)
- e gli altri progetti collegati.
Tutto questo nel mezzo del classico villaggio africano dove non c’è NULLA.
Ad esempio, l’acqua è poca e rara, l’elettricità pure e le persone vivono in case di fango assieme agli animali…
La cosa più grande che si, tuttavia, è andare a vedere.
E’ infatti questo il beneficio più grande offerto agli occidentali come noi: farti vedere che è tutto relativo.
Non basta un racconto, né un documentario.
Devi andare in un paese del “terzo mondo” e confrontarti, osservare come la stragrande maggioranza della gente che vive su questo pianeta non è messa bene come te, nient’affatto.
E’ gente che ha meno, molto meno.
Così già ti passa la voglia di lamentarti quotidianamente del 90% delle cose di cui ti lamenti in Italia.
Cosa mi è rimasto dentro
Come la missione di questo blog: avere occhi per vedere realtà diverse, per crescere ed evolversi come individui.
Quando sono andato quindi in Benin nel febbraio 2016 era per me la seconda volta in Africa (per Paola, la mia compagna, forse la sesta). Avevo già visto tanta povertà, tanto degrado, tanto caldo.
Ero mentalmente molto preparato rispetto ad altri compagni di viaggio, ma questo non vuol dire che non mi sia rimasto dentro qualcosa di molto intenso.
Un senso di gratitudine, innanzitutto.
Per dirne 3: gratitudine per dove sono nato, per le opportunità che avuto, per tutti i viaggi che ho potuto fare.

Ed eccoci, tornati (purtroppo in anticipo) dal Benin…
Un’esperienza incredibile, da cui presto uscirà fuori anche un…
Pubblicato da Andrea Occhipervedere, Giovedì 3 marzo 2016
Per oggi è tutto, non aggiungo altro.
Nella prossima puntata andrò un po’ oltre e ti racconterò di più di cosa si può effettivamente sperimentare in un viaggio del genere.
Oggi intanto ti lascio alle foto “nascoste”, che non avevo mostrato a nessuno prima d’ora:
P.S.
Le attività di AltrAfrica in Italia continuano, specialmente in Liguria.
Nel 2017, ad esempio, si è tenuta per la seconda volta una bellissima festa per raccogliere fondi per il progetto contro l’abbandono scolastico, e stavolta se n’è occupato anche il principale quotidiano genovese, Il Secolo XIX:
