Quando penso alla giornata della Memoria, ogni anno che passa sento crescere una sensazione di fastidio misto a incredulità.
Fastidio, perché il ricordo in sé dell’Olocausto ebraico mi sembra palesemente solo un pezzetto della drammatica storia della guerra scatenata dai fascismi nel Novecento – mentre gli altri pezzi vengono tenuti accuratamente nascosti dalla coltre ben distesa sulle nostre coscienze dall’ideologia dominante.
Incredulità, proprio perché al mio occhio le contraddizioni dei soggetti che tanto sbandierano un passato dolore e tanto blaterano di revisionismo sembrano fin troppo evidenti. Così purtroppo non è per molti. Ma non me ne faccio una ragione.
Come persona che ha visto da vicino i campi di sterminio di Auschwitz-Birkenau, che ha vissuto per 4 mesi filati nello stato ebraico (meglio detto entità sionista, esperienza di cui ho parlato solo in un breve diario: 1,2 e 3), che ha per anni letto e riletto appassionatamente Primo Levi (dedicandogli anche una piccola opera di poesia e rumore) non penso neanche lontanamente di accodarmi al revisionismo neo-fascista che nega lo sterminio degli ebrei. Ma quando si tratta del Ricordo, di una data ufficiale per il nostro Stato, solo ed esclusivamente al genocidio degli ebrei dedicata, sorgono due ordini di problemi, o meglio due macro-argomenti, tra i tanti possibili i più difficili da scansare:
1 – La questione palestinese. La si può ignorare (e in effetti le nostre istituzioni e i nostri media lo fanno bellamente) o girarci intorno, mistificarla o ridurla a problema di relazioni internazionali, ma in realtà in essa si sviluppa il vero olocausto, quello che continua sotto i nostri occhi da decenni, quello del popolo palestinese. Potremmo partire da lontano, dai primi immigrati in Palestina che alla fine del XIX° secolo cominciarono a comprarsi quella terra con i soldi dei Rotschild, oppure dai terroristi dell’Irgun che già si preparavano negli anni ’30 a prendere il posto degli inglesi e della fallimentare “comunità internazionale”. Ma senza stare a raccontare tutta la lunga storia del sionismo, basta anche solo rendere conto della pulizia etnica, dell’occupazione, dei ripetuti tentativi di deliberato sterminio scambiati per “guerra” tra fazioni allo stesso livello, e soprattutto dello stillicidio quotidiano mai interrotto dal 1948 a oggi (domani?).
La questione palestinese è un groppo nella gola di ogni persona civile, tale per cui non basterebbero mille parole, immagini, video a rendere conto dell’ingiustizia in essa racchiusa. C’è di certo che è la pendenza più grave della nostra epoca, quella che ci richiama ogni giorno a riflettere sulla brutalità del colonialismo e sui paradossi della storia, sul fatto che il popolo più dannato nei secoli sia diventato il carnefice più spietato – naturalmente nel nome di Dio.
Ebbene: come si fa anche solo a non accennare a tale questione quando ricorre il fatidico momento della Memoria? Come si fa a permettere il rigenerarsi dell’ipocrisia di chi in nome di quel massacro si sente (rivendicandolo come un diritto) autorizzato a compierne uno ancora peggiore?
E, ripeto, la questione palestinese; solo perché è la più eclatante, la più drammatica tra le attuali, senza niente togliere agli altri drammi del mondo.
2 – Abbandonando lo stato di riflessione più emotivo, e calandomi nell’ambito storico, mi chiedo: Cos’è stata in realtà la grande guerra di barbarie innescata da Hitler, se non il tentativo di espansione a danno dell’Unione sovietica (già tentato dagli altri paesi capitalisti), di cancellazione di ogni ipotesi di alternativa di società? Penso all’odio per gli inferiori popoli slavi giudeo-bolscevichi che il nazismo, con buona pace delle potenze occidentali – sempre altrettanto ostili al comunismo -, scatenò finalmente nel 1941, prima di essere respinto, cacciato e stanato fin dentro Berlino dalla gloriosa Armata Rossa, sostenuta dal coraggio e dai sacrifici immani dei popoli socialisti dell’URSS. Qui è il punto in cui le due storie si legano, perché il vero obiettivo del nazi-fascismo era lo sterminio del comunismo. C’è evidentemente bisogno di un’attenta operazione di svelamento e decostruzione dei miti con cui siamo cresciuti; operazione che qui posso solo accennare, e che è stata tentata in maniera seria e professionale in alcuni libri, tra cui questo.
Diceva Hitler il 30 Marzo 1941, alla vigilia dell’operazione Barbarossa:
<<E’ una battaglia tra due ideologie. Il comunismo è un crimine asociale, è il pauroso pericolo per il futuro, è una battaglia di annientamento>>. La “soluzione finale” era riferita ai sovietici, non agli ebrei. Sentenziava il generale Nagel nel Settembre 1941:
<<A differenza della dieta per gli altri prigionieri (britannici e americani), non abbiamo nessun obbligo di nutrire i prigionieri bolscevichi>>. E infatti furono più di 3 milioni i prigionieri sovietici morti solo nei campi come Auschwitz e durante le deportazioni, all’inizio della guerra. In totale il popolo russo e i popoli delle repubbliche sovietiche pagarono un tributo di 23 milioni di morti, al tempo stesso dimostrando totale determinazione e spettacolare eroismo nel combattere la barbarie fascista, caratterizzando nella storia la Grande Guerra Patriottica Antifascista come la più grande impresa dell’umanità. Il fatto (diceva qualcuno “i fatti son testardi”) che mi continua a tornare in mente, è proprio che fino a che i nazisti non subirono le prime sconfitte – contro quella che reputavano una razza inferiore e un’organizzazione sociale assurda – non vi furono grandi campagne di sterminio. Fino ad allora i nazisti non avevano incontrato ostacoli di sorta. Solo a quel punto cominciarono a praticare il genocidio sistematico, ma innanzitutto nei confronti dei partigiani, delle loro famiglie, delle città che resistevano. La Conferenza di Wannsee si tenne nel Gennaio 1942, dopo che i nazisti avevano compreso di non poter annientare e sterminare il bolscevismo internazionale, e solo allora decisero per la “soluzione finale” della questione ebraica.
Ora chi parla di Olocausto lo fa solitamente in chiave pro-israeliana, mentre all’epoca i sionisti furono proprio tra i ricchi collaborazionisti del regime hitleriano, e tra i quali molti furono capaci di scappare negli Stati Uniti, mentre la maggioranza di ebrei poveri veniva sterminata. Allo stesso tempo, in URSS come in tutta Europa, soldati e partigiani ebrei combattevano valorosamente tra le fila dei comunisti e dei socialisti.
Ancora una volta mi trovo a riflettere su quanto nei decenni seguenti la propaganda occidentale, capitalista, sia stata capace di ridimensionare tanto l’immane tragedia subita dai popoli sovietici quanto l’immensa impresa da essi compiuta, sotto la guida di Josif Stalin e del Partito Comunista: nient’altro che la conquista della pace per l’umanità, quella pace che poi l’imperialismo non avrebbe mai smesso di minare, con le sue infinite guerre di conquista. La stessa propaganda ha pari pari sin d’allora ripreso le accuse di Hitler, facendone l’arma ideologica del “mondo libero” (borghese) contro il “totalitarismo” dello stato degli operai e dei contadini.
Ma c’è da rincuorarsi: tanta ipocrisia e tante menzogne sono nient’altro che un velo sulla tomba dei veri martiri e dei veri eroi, uno strato di polvere che la Storia, nel suo cammino imperterrito verso l’emancipazione umana, scaccerà progressivamente via.