La morte mi ha reso più felice

La religione ha altri benefici oltre il (tentativo di) sopprimere l’ansia del nostro destino?

Non credo.

Leggevo un saggio psicologico che vinse il premio Pulitzer negli anni 70 (Denial of Death, di Ernest Becker. Grazie a Mark Manson per il consiglio).

La nostra ansia più profonda deriva dall’essere animali “differenti”.
Abbiamo la coscienza.
Siamo esseri razionali e in grado di immaginare l’infinito.
Ma allo stesso tempo ci contorciamo in un corpo limitato. Tanto limitato da essere ridicolo.

Questo dualismo non è nuovo a chi ha avuto il piacere di studiare Leopardi.

A ciò si collega quello che possiamo osservare sui social media così come in strada e nei musei.

La gran parte degli sforzi umani pare indirizzata al rendersi immortali.

Quando costruiamo case o aziende da passare ai nostri eredi, piuttosto che donare soldi per avere il proprio nome su un palazzo, oppure tentiamo di creare capolavori “eterni”.

Ma anche Dante fra qualche secolo o poco più verrà dimenticato.

E per noi tutti sarà ancora più facile che per lui. Bastano poche generazioni.

Nella prospettiva della vita su questo pianeta, non contiamo nulla.
In quella dell’universo, ancor meno.

Il dualismo tra mente che concepisce l’eternità e corpo che verrà presto mangiato dai vermi (o dissolto nell’oceano) ci rende tutti folli – IN QUANTO umani.

Chi più, chi meno platealmente, ci angosciamo tutti nel profondo.

E soprattutto lo fa chi non si illude in disegni divini, dato che non ve n’è evidenza alcuna
(la fede ha proprio questa come premessa: Dio non può essere provato).

Chi invece dice di aver fede, mi pare come quello che si obnubila nell’alcol o in altre forme di morte temporanea. Usare il cervello fa troppa paura.

Gli egizi come altri popoli nella maggior parte della storia umana associavano la divinità a un po’ tutto.
E ogni tanto qualcuno si fissava sul Sole.

In effetti, come dice pure il comico romagnolo Eleazaro, se proprio dovessimo credere in qualcosa di onnipotente, è nel Sole che troveremmo risposta.

Peccato che anch’esso è semplicemente una stella destinata a scomparire un po’ più tardi di noi.

Se provo a razionalizzare questa consapevolezza, credo di trovare rifugio solo in Epicuro e negli stoici.

Un sano edonismo.

Il senso che si può dare alla vita non è solo in bagordi occasionali.
È nel fare un lavoro stimolante, dare importanza agli amici e coltivare interessi ‘esterni’ (così definiti da Bertrand Russell, che di felicità ne capiva molto).

È nell’otium, come la pausa contemplativa e di condivisione che mi sono preso dai miei progetti… per scrivere questo post.

E poi ti consiglio uno storico, Emanuele Felice, che si è sentito obbligato a scrivere di felicità (apprezzabile).

La sua tesi è che grazie alla tecnologia e al capitalismo abbiamo superato i limiti che anche gli stoici avevano alla loro epoca.

Viviamo di più e più comodi.

Siamo i più ricchi e liberi di tutta la storia umana.

Abbiamo più possibilità di qualsiasi nostro antenato.

Più comodità e potere in uno smartphone di quanto ne avesse Tuthankamon o il Presidente degli USA 30 anni fa.

Certo, è pieno qui su Facebook e in giro di gente infelice.

Se grazie alla scienza non credi alle favolette mistiche, quelle dei preti locali o esotici, può capitare che ti perda il significato della vita.

Ma ci puoi pensare.

E a tal proposito, siamo sull’unico pianeta blu in vista. In tutto lo spazio attorno.
Chiedi a Samanta Cristoforetti.

Il vero paradiso è questo, sulla Terra.

Abbiamo pochi frammenti in fondo da viverci sopra, e nonostante tutto il male di cui siamo capaci, possiamo godere della natura.

E anche di ciò che vi abbiamo innestato di nostro.

🙂

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