Prima dose di storia dello sviluppo economico

Il minimo indispensabile

Continua la serie di lezioni di Jeffrey Sachs sull’Era dello Sviluppo Sostenibile, tratte dal suo corso alla Columbia University of New York, che ho seguito, riassunto e tradotto qui per voi:

L’era della crescita economica moderna

Come si spiegano le enormi diseguaglianze che abbiamo visto, in cui troviamo paesi come gli Stati Uniti a 50.000$ pro capite di reddito annuo e altri come il Niger sotto i 500$? Come è possibile che nei paesi meno sviluppati le persone guadagnino meno di un centesimo delle persone nei paesi più sviluppati? Come si è arrivati a tanto? Queste differenze sicuramente non esistevano duecento anni fa.

Appena prima dell’inizio della Rivoluzione Industriale, attorno al 1750, il mondo si attestava su livelli di reddito alquanto equi. Per essere più precisi, il mondo era quasi del tutto uguale nella sua povertà. Era una realtà comune ai diversi continenti, quella di contadini che coltivavano un piccolo pezzetto di terra per sopravvivere. Ad ogni latitudine, in Europa come in Africa o in Cina, un cattivo raccolto significava carestia, fame e morte per milioni di persone.

La storia della diseguaglianza odierna è dunque la storia della crescita economica moderna. Nel giro di 250 anni alcune (e sempre più) società hanno visto trasformazioni strabilianti e totalizzanti, dalla vita rurale a quella urbana, dall’agricoltura di sussistenza a quella meccanizzata e ad alto rendimento, e anche dall’industria moderna all’economia dei giorni nostri, fondata sull’alta tecnologia, la conoscenza e i servizi. Dopo circa diecimila anni in cui la produzione mondiale era stata grosso modo prossima allo zero, in soli duecentocinquanta anni la curva della crescita si è impennata (e continua a salire verticalmente), anche se con differenti tassi in diverse regioni. Chi si interessa allo sviluppo sostenibile ha a cuore la questione storica del come questi cambiamenti si siano innescati in alcune aree e non in altre, perché è da qui che bisogna tirar fuori le risposte su come avviarli finalmente anche nei paesi meno sviluppati (Least Developed Countries).

L’elemento cruciale, come racconta il grande economista J.M. Keynes, è proprio la tecnologia, che per la maggior parte della storia umana non aveva visto grandi innovazioni, al punto che i contadini della Roma antica e quelli dell’Inghilterra di inizio Settecento vivevano di fatto in condizioni molto simili!

Inghilterra: Ha inizio la rivoluzione industriale

Ecco quindi che proprio in terra d’Albione le cose iniziano ad accelerare, con numerose invenzioni, miglioramenti nello stile di vita, e conseguente aumento della popolazione. E’ solo in Inghilterra che l’incontro di varie forze permise il decollo della vita economica. Non bastano l’invenzione del motore a vapore, della filatura e tessitura meccanizzata e della produzione di acciaio su larga scala. Entrano in gioco altre interconnessioni: mentre le fabbriche aumentano, le zone rurali devono rendere di più per sfamare la crescente forza lavoro industriale; servono nuove forme di trasporto  per il cibo – che dalla campagna andava in città – e per il vestiario – che, ad esempio, si muoveva in senso inverso. Spuntavano nuovi porti e aumentavano sempre di più gli interscambi internazionali di materie prime e prodotti finiti. Per sostenere e garantire tali processi, anche il mondo finanziario, dei diritti di proprietà e delle assicurazioni teneva il (veloce) passo, e ciò significava un’economia di mercato sempre più sofisticata, che faceva tesoro del genio di scienziati dei secoli precedenti come Galileo e Newton, saldando la visione scientifica del mondo con il credo che questo potesse essere manipolato a beneficio degli uomini e del loro stile di vita.

Nel fondamentale anno 1776 James Watt iniziò a produrre il motore a vapore, mentre le colonie americane dichiaravano la loro indipendenza e Adam Smith pubblicava “La ricchezza delle nazioni” – prima grande descrizione di questi processi (fondando la moderna disciplina degli studi economici). Da Smith giungono tante delle idee che aiutano a comprendere il mondo in cui viviamo, oltre a meravigliose osservazioni come questa sull’incontro di bisogni e desideri – che tramite le transazioni di mercato dà vita alla divisione del lavoro e al funzionamento dell’economia moderna:

<<Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del panettiere che ci aspettiamo la nostra cena, ma dalla loro attenzione ai loro propri interessi. Non ci affidiamo alla loro umanità, ma al loro amor proprio e non parliamo loro delle nostre necessità, bensì dei loro vantaggi>>.

Grandi elogi di questi strabilianti cambiamenti, che cancellavano progressivamente la vecchia società feudale, e della classe sociale che li guidava – la nascente borghesia capitalista – vennero non molto dopo anche da Marx ed Engels, teorici poi passati alla storia per altre considerazioni. Basta aggiungere qui la palese verità da loro affermata riguardo il fatto che il vantaggio dell’Inghilterra e della sua borghesia non fosse casuale, anche perché prevalentemente basato sul dominio coloniale che essa all’epoca esercitava su gran parte del mondo conosciuto.

Londra

Le grandi ondate del cambiamento tecnologico

All’inizio del diciannovesimo secolo, la nuova era della crescita economica moderna era ormai avviata. Da un lato si aveva la crescita cosiddetta endogena, cioè quella dei leader tecnologici mondiali, che a quel tempo erano la Germania e gli Stati Uniti; questi ultimi nel ventesimo secolo si sarebbero dimostrati in larga misura il paese più dinamico. Qui la crescita economica era spinta da continue e irrefrenabili innovazioni nei prodotti e nei processi di assemblaggio. Ad esempio, l’invenzione del motore a vapore da parte di James Watts fu fatta propria da innumerevoli aree produttive, dal tessile alle ferrovie, dalle navi alle acciaierie. Ognuno di questi settori poi generava ulteriori passi in avanti. Si parla a tal proposito di crescita endogena poiché le innovazioni erano generate all’interno di questi paesi. Ciò in contrasto alla crescita dei cosiddetti ritardatari, che per svariate ragioni storiche, politiche e geografiche sono rimasti indietro. Ad esempio la Cina, che per tutto il diciannovesimo secolo non sperimentò alcun processo di industrializzazione, e solo negli ultimi decenni (anche se in grande stile) ha iniziato “l’aggancio” (catch-up) con i paesi più industrializzati. Tale modello non prevede innovazione, bensì importazione tecnologica e adattamento di questa alle condizioni locali, senza dover quindi affrontare grandi costi di ricerca e sviluppo. Difatti, questo tipo di crescita può essere molto più veloce di quella endogena, si pensi ai tassi attorno al 10% sperimentati per tanti anni dalla Corea del Sud e dalla Cina stessa. Allo stesso tempo, in questi paesi il ruolo dello Stato si rivela decisivo, specialmente nel sopperire ad un mercato assente su investimenti in istruzione, infrastrutture, salute ecc. Ancor più, la strategia di successo in questi casi è stata il legarsi all’economia mondiale fornendo facile accesso alle aziende straniere più avanzate per produrre beni soprattutto destinati all’esportazione.

Ritornando un attimo all’innovazione, teniamo presente che sin dalla prima Rivoluzione Industriale il mondo ha visto un susseguirsi di ondate di cambiamento tecnologico. Perciò si parla tranquillamente di epoca del vapore, delle ferrovie, dell’elettricità, dell’automobile, dell’aviazione, fino a quella dell’informazione e della comunicazione (ICTs) che ha creato la contemporanea “era digitale” in cui viviamo. E la prossima? Quella di cui abbiamo bisogno è l’ondata delle tecnologie sostenibili – modi per produrre e muovere energia, per trasportare noi e le merci, che elimini l’impressionante pressione umana sull’ecosistema Terra…

Alla prossima settimana per la seconda dose

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Scrivi ad a.lisi1986@gmail.com

p.s.

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