La Cambogia secondo Terzani: Cronaca di un genocidio per niente folle

Recensione di “Fantasmi – Dispacci dalla Cambogia” di Tiziano Terzani

La nuova edizione del classico di Terzani, con le “palme di Pol Pot”

“Il saggio sa che la vita non è che una fiammella scossa da un vento violento”

-Iscrizione ritrovata ad Angkor

La rivoluzione più radicale di tutti i tempi

Prima c’era stata la delusione del Vietnam e le mancate promesse dei tanto acclamati rivoluzionari anti-imperialisti, che non avevano mantenuta alcuna delle loro elettrizzanti promesse di emancipazione.

Poi anche il Laos, e soprattutto la claustrofobica esperienza della Cina violentata con la scusa, ancora, del voler costruire una società nuova.

E in mezzo, il massacro di due milioni di cambogiani – 1/3 della popolazione – da parte di un altro gruppo marxista-leninista, probabilmente il più radicale di tutti i tempi: i khmer rossi guidati da Pol Pot.

Quadri di Pol Pot © Archivio Terzani

All’epoca – in quei quattro anni in cui il paese fu chiuso ermeticamente all’esterno – nessuno ci capì nulla. E lo stesso Terzani, che alla vigilia della presa della capitale Phnom Penh era quasi stato fucilato dagli khmeri rossi, come li chiamava lui, non voleva credere alle storie terrificanti dei rifugiati scappati in Thailandia – perché riportate da degli americani.

E invece era tutto vero. Anzi, era molto peggio di quello che chiunque si sarebbe potuto immaginare.

La schiavizzazione di un intero popolo, e lo sterminio organizzato di una sua parte: tutti quelli considerati “borghesi”, “cittadini” o semplicemente comunisti sospetti.

Quelli con gli occhiali, dovevano morire.

Quelli che non riuscivano ad arrampicarsi su una palma – quindi non contadini – dovevano morire.

Quelli che osavano innamorarsi, o avere un pensiero proprio, dovevano morire.

Terzani, ancora una volta testimone diretto

Fantasmi è uno dei reportage classici di Tiziano Terzani, giornalista di punta nell’Asia degli anni 70 e 80. Il libro è una struggente raccolta dei suoi articoli prima per Der Spiegel e poi – fino agli anni ’90 – per il Messaggero e il Corriere della Sera.

E’ una dichiarazione d’amore per un paese stupendo, la Cambogia, la terra khmer, erede del grande impero di Angkor, civiltà buddhista, “popolo del sorriso”.

Nel viaggio del 1980, all’indomani del genocidio ©-Archivio-Terzani

E’ una severa condanna dell’ONU e delle grandi potenze, che dopo la fine di quel regime sanguinario permisero ai colpevoli di restare impuniti, e allo stesso Pol Pot di morire tranquillo nel 1996, senza aver mai dovuto chiedere scusa.

E’ un’analisi precisa degli errori ripetuti per l’ennesima volta (e purtroppo non l’ultima) dagli americani nel voler imporre la democrazia con le bombe, finendo così sistematicamente per creare mostri, nemici sempre peggiori di quelli che in origine volevano combattere.

Di recente, la guerra del 2003 all’Iraq ha generato la follia dell’Isis che oggi tanto temiamo.

Così negli anni ’80 in Afghanistan la lotta ai sovietici permise la nascita di Al Qaeda.

E così negli anni ’70, il colpo di stato contro il governo neutrale di Sihanouk e i bombardamenti su una popolazione innocente fecero sì che tra i comunisti scomparissero i moderati e le fila di Pol Pot si rinforzassero sempre più.

Non è stata follia

“Dovunque mi sono fermato, spesso per caso, perché avevo una gomma bucata o perché, preso dalla sete, cercavo dei succo di cocco dai contadini, dovunque sono incappato nelle fosse comuni, negli ex campi di sterminio di Pol Pot. A volte, traversando una risaia mi è stato impossibile non camminare sui resti di gente massacrata tra il 1975 e il 1978 dai khmer rossi” ©-Archivio-Terzani

La ricostruzione di Terzani è onesta, perché va oltre le parole semplici con cui l’operato di Pol Pot e i suoi venne liquidato in Occidente.

La destra volle cancellare le responsabilità americane nel provocare il disastro dell’Indocina, la sinistra provò a ridurre tutto a un’aberrazione, la deviazione di un folle dalla “corretta” dottrina marxista.

Ma se c’è una cosa veramente stupefacente in “Fantasmi” non è solo il resoconto di quello che Terzani vide con i propri occhi, prima e dopo il disumano esperimento dei comunisti cambogiani (a cui pose fine l’invasione dei più moderati comunisti vietnamiti, esasperati dalle continue provocazioni dei khmer rossi).

Quello che resta, aldilà del resoconto del massacro – che pure un po’ morbosamente attrae e incuriosisce – è l’analisi lucida del perché.

O meglio, del come.

Come è stato possibile?

Questa analisi è di immenso valore, perché se dell’olocausto degli ebrei a opera dei nazi-fascisti si è discusso e si discute a dovere da 70 anni, di quello che è successo in Cambogia nessuno se n’è voluto interessare, né durante, né dopo.

[Il Tribunale speciale per la persecuzione dei crimini dei khmer rossi è stato tirato su solamente nel 2001, e Kieu Samphan, loro leader storico e braccio destro di Pol Pot, è stato arrestato addirittura solo nel 2007].

E il responso è che no, non è stata veramente una “follia”, a dispetto di quanto recita il titolo del video qui in basso:


Estratto dall’intervista della Rai a Terzani nel 1985


Un lucido genocidio comunista

Vale la pena citare un passo del libro che più di altri restituisce il senso a questi avvenimenti:

“C’era una gran logica nella follia di Pol Pot. Innanzitutto Pol Pot era un rivoluzionario. 

Come tale voleva costruire una “società nuova” e sapeva di poterlo fare solo dando vita a un “uomo nuovo”. Per arrivarci ha preso una scorciatoia facendo un’immediata e sistematica tabula rasa di tutto ciò che era vecchio.

Quando i khmer rossi presero Phnom Penh nell’aprile 1975, solo due dei sei milioni di cambogiani abitavano in zone già controllate dalla guerriglia. Solo questi sarebbero stati utili, e quindi salvi, nella nuova società. Gli altri, quelli vissuti sotto il regime filo-americano di Lon Nol e quindi affetti dai valori borghesi e decadenti dell’Occidente, andavano eliminati…”

Ci furono 3 ondate di massacri, strategicamente pianificate dalla cricca di Pol Pot (tutti dirigenti strettamente imparentati).

E l’apice di questo totalitarismo si ebbe con i bambini – i killer più temuti – cresciuti sotto il regime e novelli “kapò”, fedeli soldati di Pol Pot senza valori e senza ricordo di alcuna forma di società diversa, indottrinati fin dall’infanzia e pronti a denunciare e far uccidere i loro stessi genitori.

Cosa resta?

Tra induismo e buddhismo, la Cambogia conserva tesori e tradizioni dal fascino immenso, le cui radici il genocidio comunista non è riuscito comunque a sradicare.

Ma all’indomani di quel trauma spaventoso, il paese si ritrovò stordito e ancora terrorizzato, in una situazione di povertà estrema, rigettato poi per altri lunghi anni in una sanguinosa guerra civile, e presto preda delle stesse contraddizioni capitaliste che i comunisti-primitivisti avevano provato a cancellare.

E soprattutto, restava una popolazione inebetita, incapace di qualunque vitalità, governata da dai tanto odiati vicini vietnamiti, e incapace di ribellarsi – così come era stata incapace di rivoltarsi contro le fosse comuni e il meccanismo di denunce, menzogne e persecuzione del partito comunista.

Un meccanismo talmente diabolico da far pensare alla Germania nazista, perché per essere messo in moto, oliato e difeso aveva pur bisogno del consenso attivo o passivo del popolo – oltre che del consenso esterno, fornito in primis dai cinesi – maoisti prima e denghisti dopo.

A differenza del piano di Hitler, però, la cosa assurda è che quello di Pol Pot si è diretto contro la sua stessa gente, in nome dell’“odio di classe” che anche qui da noi infiammava i cuori di tanti studenti, operai e radical-chic.

E allora mi fa spavento sentire qualcuno, qui da me in Italia, ancora dire con frustrazione “la faremo questa rivoluzione prima o poi” oppure “qui ci vuole Pol Pot”.

Mi fa spavento specialmente perché, come Terzani anch’io ho simpatizzato per i ribelli, per chi combatteva la corruzione e l’ingiustizia dei regimi filo-americani e colonialisti, in nome di un futuro più equilibrato.

Un luogo magico, da vedere

Ma che dire della bellezza del complesso di templi di Angkor Wat?

Terzani ad Angkor

Ancora oggi si tratta di una delle meraviglie dell’umanità, al pari delle piramidi d’Egitto, o delle chiese di Lalibela in Etiopia.

Negli anni ottanta non era ancora il luogo turistico che ovviamente è diventato oggi, e Terzani lo visitò varie volte praticamente da solo,

A volte, quando lontano da quei templi mi sentivo sopraffare dalla banalità del quotidiano, dal peso della normalità, il mio pensiero correva alla grandezza di Angkor, ai bassorilievi ed alla loro grandiosa rappresentazione della vita: grandiosa nella gioia e nell’orrore. 

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